LA STORIA DI GIORGIO - 45 anni

La paura di morire e gli attacchi di panico

Era stato un inverno molto faticoso; il trasferimento a 30 km dell’azienda per cui lavoravo, la laurea di mia figlia e le sue richieste di aiuto per la scrittura della tesi,  e l’infarto di mio padre che per fortuna era stato preso in tempo, e dopo un lungo periodo di riabilitazione si era ripreso. 

Ogni anno contavo sull’arrivo della primavera per ritrovare un po’ di serenità, di speranza e di energia ma in quel momento nemmeno quell’idea riusciva a farmi ritrovare le forze per andare avanti.
Una mattina salii in auto per andare a lavoro. Sapevo che sarebbe stata una giornata pesante perché avrei incontrato una delegazione inglese in visita allo stabilimento e non mi sentivo pronto a rispondere a tutte le loro domande; eravamo in crisi ed ero certo che avrebbero adottato la strategia della ricerca del colpevole invece di una più efficace ricerca delle cause degli errori e delle soluzioni dei problemi. Ero in apprensione, quel giorno sarei stato solo, il mio collega Zadra, era in ferie e avrei dovuto gestire tutta la situazione in totale autonomia senza alcun supporto.
Guidavo e pensavo a come e dove li avrei ricevuti, quando all’improvviso sentii una fitta al cuore. Pensai subito “mi sta succedendo qualcosa, forse un infarto com’è successo a mio padre”. Improvvisamente mi resi conto che stavo sudando, faticavo a respirare e avevo la sensazione di dover vomitare. Riuscii a fermare l’auto, ad accostare e a chiamare il pronto soccorso.
Arrivai in ospedale e fui sottoposto a tutti gli accertamenti; non si trattava di infarto ma di un attacco di panico. Mi diedero un ansiolitico e mia figlia, che nel frattempo mi aveva raggiunto, mi accompagnò a casa.
Il giorno dopo tornai a lavoro ma l’idea di prendere l’auto mi preoccupava, così decisi di andare con i mezzi.
Quando arrivò l’autobus però fui preso da un’ansia fortissima, cercai di salire, ma sentivo un oppressione al petto fortissima e ancora una volta pensai che mi sarebbe successo qualcosa di grave. Così rimasi a terrà e rientrai a casa.
Nel pomeriggio andai al supermercato; la dispensa era vuota e dovevo fare un po’ di spesa per la cena. Mentre camminavo pensavo al lavoro  e a come avrei giustificato questa mia assenza in un momento così delicato. Entrai, presi il carrello e  lo riempii con i prodotti abituali. Arrivai alla cassa e vidi che davanti a me c’erano cinque persone. Iniziai ad agitarmi, e sentirmi in ansia, non riuscivo a tenere le gambe ferme era come se sentissi il desiderio di scappare via. Riposi qualche prodotto e mi infilai rapidamente nella cassa veloce. Uscii dal supermercato stanco come se avessi corso una maratona. Mi fermai su una panchina lungo la strada e pensai che il giorno dopo sarei andato dal medico per richiedere altri esami.
Rimasi a casa per una settimana; ogni volta che tentavo di fare qualcosa, che prima era un gesto abituale, come andare al supermercato, in palestra, al cinema, mi assaliva l’idea di poter stare di nuovo male. Il medico aveva confermato che si trattava di attacchi di panico e mi aveva invitato a consultare uno psicologo psicoterapeuta cognitivo per validare la diagnosi e intraprendere un percorso di cura.
Dopo un mese, decisi che la situazione non cambiava e dovevo chiedere aiuto.
Iniziai il percorso terapeutico e mi fu detto che si trattava di un disturbo di attacchi di panico. A due mesi dall’inizio, sto iniziando a riprendere gradualmente tutte le mie attività. Vado ancora a lavoro in autobus ma ora almeno riesco a prenderlo. Sono tornato ad allenarmi in palestra e non ho più bisogno di far la spesa on-line. Dalla prossima settimana inizierò a utilizzare l’auto per brevi tragitti fino a quando non raggiungerò il mio obiettivo di rientrare a lavoro, senza il timore che possa succedermi qualcosa mente sono alla guida. Ogni tanto penso che avrei dovuto ascoltare subito il medico e non aspettare che il problema si aggravasse
.

 

Nomi e luoghi sono stati modificati. L'immagine è puramente rappresentativa.